giovedì 30 giugno 2011

L’ALTRO PUPILLO DI JOSS WHEDON: STORIA DI NATHAN FILLION


I fan di Buffy saranno rimasti colpiti quando, negli ultimi cinque episodi della settima e ultima stagione, hanno visto l’introduzione del super cattivo Caleb, il Predicatore al servizio del Primo Male. Cattivone ma con una sottile nota d’ironia. Come è caratteristico di tutti i super cattivi del Buffyuniverse. Joss Whedon, ideatore della serie, deve aver visto in Nathan Fillion, l’attore ideale per quel ruolo: carismatico, ironico ma professionale. Allora poco conosciuto, non tutti sanno che lo stesso Fillion si presentò nel 1996 al provino per il ruolo di Angel – poi assegnato a David Boreanaz. Ma il ragazzone canadese, – data la sua statura di un metro e 87! – nato il 27 marzo 1971 ad Edmonton, sarebbe destinato a diventare uno dei volti che molti suoi fan non avrebbero dimenticato. Infatti, chiunque passi sotto la scia di Joss Whedon, diventa un suo protetto, un suo pupillo, e ha la strada spiazzata ovunque – ricordiamo Sarah Michelle Gellar (ora lanciatissima al cinema), Eliza Dushku (Tru Calling, Dollhouse), David Boreanaz (Angel, Bones), Alyson Hannigan (How I Met Your Mother), tanto per citare i più famosi.
Nel 2002, Joss Whedon crea una serie fantascientifica dal titolo Firefly, dove Nathan è il protagonista, interpretando il Capitano Mal. La storia narra di una lotta per la sopravvivenza, una migrazione dovuta al sovrappopolazione della Terra, ambientata in un futuro incerto. In seguito ad una specie di “guerra dei mondi”, il capitano Mal guida un’astronave, chiamata Serenity, verso il commercio interspaziale, con l’obbiettivo di integrarsi il meno possibile con la nuova società e il suo governo che si erano formati. Per racimolare i soldi per i rifornimenti, l'equipaggio della Serenity deve accettare per lo più lavori illegali, come furti e contrabbando, ma talvolta sono accolti a bordo dei passeggeri, ovviamente a pagamento. Lo show durerà una sola stagione, ma diventerà una serie cult, e contribuirà a fare di lui un idolo per gli amanti delle serie di fantascienza. È questo il ruolo che dà maggior successo a Nathan e che lo fa conoscere maggiormente al grande pubblico. Lui stesso, ancora oggi, parla di Firefly come del “miglior lavoro che abbia mai avuto”. Il suo personaggio, Malcolm “Mal” Reynolds, prima della guerra era un uomo eroico, che credeva in alcuni ideali. Tuttavia, la guerra ha spazzato via tutto ciò in cui credeva, e lo ha reso insicuro. Quando inizia a pilotare la Serenity, capisce che è l’astronave che fa per lui, ed è pronto a cominciare una nuova vita, lontano dal nuovo mondo che si è creato. Da questa serie tv, visto il grande successo riscosso dai fan, Firefly avrà un film tutto suo, uscito nel 2005, intitolato Serenity, che rappresenta il capitolo conclusivo della serie tv.
L’interpretazione di Nathan in questa serie tv convinse così tanto Whedon che lo scritturò per gli ultimi episodi della settima stagione di Buffy. Seppure sia stato un breve ruolo, è comunque rimasto nei cuori dei fan come uno dei cattivoni più famosi della fortunata serie televisiva. Il nome di Caleb deriva dall’ebraico e significa “fedele”, infatti il Predicatore è un fedele seguace del Primo. In questo ruolo, Fillion stupisce parlando con un particolare accento del sud. Il ruolo di Caleb è stato per Fillion il primo ruolo da cattivo. Egli è arrogante e misogino: in precedenza aveva ucciso due ragazze con l’inganno dei suoi sermoni; dopodiché si è unito al Primo Male per combattere Buffy e la sua armata di cacciatrici. Essendo il “braccio” del Primo, è in grado di fondersi con esso; questo gli dà la possibilità iniziale di uccidere alcune cacciatrici, ferirne altre, e sconfiggere Buffy.
Con la chiusura della serie, nel 2003, e dopo il film Serenity del 2005, inizia per Nathan Fillion il momento di riprendersi una rivincita e avere il successo meritato, lanciandosi nelle serie televisive. Nel 2006 recita in un episodio di Lost, impersonando uno dei tanti fidanzati che ha avuto la bella truffatrice Kate; nel 2007 viene accettato per interpretare un ruolo da protagonista nel – purtroppo sfortunato – Drive, telefilm che racconta dello corse clandestine, che ha chiuso i battenti solo dopo 6 episodi.
Nathan non si arrende e ci riprova con Desperate Housewives, dove partecipa per 11 episodi interpretando Adam, marito di Katherine. Finalmente dal marzo 2009, ottiene un ruolo da vero protagonista in una serie di successo. È infatti lo scrittore Richard Castle in Castle, serie tv poliziesca dai toni ironici. Dopo una partenza un po’ in sordina, con una mini stagione composta di dieci episodi, Castle convince subito il pubblico, grazie non solo ai due protagonisti – Nathan Fillion affiancato da Stana Katic nel ruolo di Kate Beckett – ma proprio grazie all’alchimia tra i due! Castle è un tipo simpatico, estroverso, due volte divorziato, con figlia secchiona e mamma ex attrice a carico. Il suo coinvolgimento nelle indagini inizia quando un serial killer uccide una donna ispirandosi ad uno dei suoi romanzi. Così Castle inizia a prendere parte alle indagini della polizia, capitanata da Kate Beckett, con la scusa di prendere spunto per i suoi romanzi. Durante la seconda stagione, infatti, uscirà l’altra sua serie di romanzi ispirati a Beckett, che ha per protagonista la super detective sexy Nikki Heat – forse troppo sexy secondo Beckett! Con questa serie tv, Nathan sembra aver trovato il successo che tanto aspettava, e dopo aver conquistato l’America, non ci metterà tanto per conquistare anche l’Italia. Tuttavia, è probabile che per molti suoi fan, lui resti sempre il Capitano Mal dell’astronave Serenity.

mercoledì 29 giugno 2011

“HOW I MET YOUR MOTHER”: EREDE DI “FRIENDS” CON SUCCESSO ASSICURATO


Raramente c’è una sit-com che prende lo spettatore fin dalle prime scene, soprattutto se questa sit-com in questione è stata paragonata fin dalle prime puntate ad un telefilm tanto compianto. Il paragone è bello grosso, ma è di tutto rispetto alla serie capostipite tanto compianta che mette al centro delle sue storie un gruppo di amici, un punto di ritrovo, e tanto, tanto divertimento quotidiano. Sto parlando di How I Met Your Mother, in italiano tradotto con un bruttissimo – e assurdo da sentire – E alla fine arriva mamma. La storia ruota tutta intorno a cinque amici, tutti sulla trentina, abitanti di New York, ognuno con un lavoro pressocchè decente, che puntualmente si riuniscono ogni sera nel loro pub preferito per raccontarsi la loro giornata, anneddoti o ricordi di vita passata – vi ricorda niente questa premessa? Se non l’avete ancora capito, probabilmente non conoscete Friends, telefilm che ruota intorno ai sei amici newyorkesi, tutti trentenni. Fin dal pilot di How I Met Your Mother, si può ben capire la somiglianza tra i due telefilm. Prima di tutto, il setting: il pub di ritrovo nella Grande Mela, il McLaren’s (in Friends era il Central Perk il luogo di ritrovo). Poi gli amici. Anche se, How I Met Your Mother differisce da Friends per la particolarità di narrare le storie attraverso flashback, i repentini cambi di scena, commenti fuori campo, e le divertentissime sequenze di fermo-immagine.
Come si può capire dal titolo (inglese) è la storia di un padre che racconta ai suoi figli come ha conosciuto la loro madre. Siamo nel 2030. Il protagonista della storia, Ted Mosby – di cui sentiamo solo la voce narrante – fa sedere i suoi due figli sul divano e inizia a raccontar loro come ha conosciuto la loro madre, senza però svelarne mai l’identità. L’identità della presunta madre è infatti destinata a rimanere un mistero durante la serie, alimentando la curiosità e le speculazioni da parte del pubblico. Destino perciò, che si scopra alla fine della serie chi è la moglie di Ted Mosby. Da qui il salto temporale che ci porta nel 2005. È infatti qui che iniziamo a conoscere il Ted ventisettenne, giovane architetto, che decide di dare una svolta alla sua vita quando il suo migliore amico dai tempi del college, Marshall Eriksen, propone alla sua fidanzata storica dai tempi del college, Lily Aldrin, di sposarlo. Ted capisce che è arrivato anche per lui il momento di sistemarsi, così inizia una disperata – e a volte folle – ricerca dell’anima gemella e della perfetta madre per i suoi figli. Nel primo episodio, Ted sembra trovare queste caratteristiche in Robin Scherbatsky, una giovane giornalista che fa servizi per una tv locale, che conosce al McLaren’s pub. Il guaio è che Ted si fa prendere subito dai sentimenti, così dopo la prima “uscita”, Ted dice a Robin di essere innamorato di lei! La ragazza, invece, è l’opposto di Ted, e si spaventa a morte dopo una simile dichiarazione. Tuttavia, c’è colpo di scena alla fine dell’episodio, poiché il Ted narrante del futuro ci dice che non è lei la madre dei suoi figli, ma bensì verrà identificata come “la zia Robin”.
Ma il personaggio più esilarante, che sicuramente verrà ricordato in futuro dai fan di tutto il mondo, è certamente Barney Stinson. Barney è l’antitesi di Ted; sempre in giacca e cravatta – è lui a dire sempre a Ted “ricordati di mettere la giacca!” – donnaiolo, sempre alla ricerca di conquiste, conosce alla perfezione l’arte del rimorchio, che lui pratica in maniera spasmodica e oppurtunista. La sua battuta famosa è “Legend...wait for it...ary!”, che lui spezza per dare suspence alla parola! Barney è quindi una sorta di “diavoletto” sulla spalla di Ted, che spera di trasformare in un “piccolo Barney”! Ted però è un romantico, e saprà resistere a non farsi coinvolgere troppo da Barney.
La relazione tra Ted e Robin è quella tipica di amore/amicizia, e vedendo la serie, nel corso degli episodi, si capisce il tira e molla tra i due. Marshall e Lily, invece, sono la coppia stabile del telefilm, stando insieme dal primo anno del college, non si sono mai lasciati. Barney, invece, ha l’obbiettivo di andare a letto con più donne possibili per battere il suo record personale!
Il cast è il punto di forza della serie, poiché gli attori si calano bene nei loro personaggi, dando intonazione e cambi di voce divertentissimi – cose che però nel doppiaggio italiano sono andate perdute. Ted è interpretato da Josh Radnor, che ha partecipato ad alcune serie tv; Cobie Smulders interpreta Robin, ed è canadese come il suo personaggio; Marshall è interpretato da Jason Segel, che recentemente ha scritto e interpretato il film Forgetting Sarah Marshall (in Italia Non mi scaricare). Più conosciuti sono gli altri due protagonisti: Alyson Hannigan, la Willow in Buffy, è interprete di Lily, mentre Barney è interpretato da Neil Patrick Harris, divenuto famoso sul finire degli anni ’80 con la serie Doogie Howser, M.D., in cui interpretava un adolescente geniale che a 16 anni era già un affermato medico.
Debuttata sul canale della CBS il 19 settembre 2005, da allora la serie ha riscosso successo negli States tra pubblico e critica, aggiudicandosi finora 5 Emmy Awards. Meno fortuna ha avuto la serie qui in Italia, causa il titolo originale mal tradotto, il doppiaggio, – inespressivo e poco credibile –  e gli sbalzi di orari, che hanno reso How I Met Your Mother una serie minore. Ed è un vero peccato, dato il successo riscosso negli Stati Uniti e il paragone con Friends. Consiglio la visione di questa sit-com in lingua originale, perché non solo rende di più, ma le dà quel tocco di comicità e di originalità che vi farà quasi dimenticare Friends – e attenzione, ho detto “quasi”.

lunedì 27 giugno 2011

I PRO E I CONTRO DELLE RISATE REGISTRATE NELLE SIT-COM


Vedendo una sit-com di qualunque genere, per esempio Friends o il recente The Big Bang Theory, vi siete chiesti chi è che ride in sottofondo durante le scene? Da dove provengono queste “risate registrate”? E a cosa servono? Le risposte cercheremo di darvele in questo articolo.

Le risate registrate, in inglese laugh track, sono delle registrazioni di risate effettuate in studio, che vengono inserite nelle sit-com (situation comedy) e nei programmi televisivi (come Striscia la Notizia nostrano) e radiofonici. Fungono da accompagnamento a gag, battute e situazioni tanto imbarazzanti quanto comiche, e accompagnano, quindi, la battuta dell’attore televisivo. L’origine delle risate registrate risale agli anni cinquanta negli Stati Uniti. Prima della televisione, era il pubblico in sala che, assistendo agli show dal vivo, rideva vedendo divertenti gag on stage oppure rideva semplicemente ascoltando i programmi radiofonici. Con l’introduzione di questo nuovo mezzo di comunicazione, il panorama tecnologico si ampia e porta una nuova innovazione nelle sit-com: le risate registrate. Nate con lo scopo di ricreare la presenza di un pubblico vero, le laugh track furono una rivoluzione. In telefilm come Mia moglie è una strega, le risate registrate dovevano servire come risposta a una scena televisiva quando il vero pubblico in sala non rideva di fronte certe situazioni bizzarre. Con l’avvento degli anni sessanta, si ha l’esplosione della televisione e del cinema. Ci si rende conto che utilizzare ogni volta un pubblico diverso, che vede e ride guardando un show dal vivo, sta diventando costoso. Vennero realizzati due versioni di uno stesso episodio: uno senza risate registrate, l’altro con esse. Il risultato? Le risate registrate furono un successo. La scelta di applicarle nei successivi show televisivi fu geniale.

Si capì che senza le canned laughter – altro termine per chiamare le risate registrate; questo indica le “risate confezionate” – uno show era destinato a fallire. Senza situazioni comiche, gli spettatori americani non erano particolarmente interessati a guardare un telefilm, poiché non riuscivano a capire se si trattasse di una commedia.

Siamo negli anni settanta, e iniziano ad essere rappresentati in televisione temi importanti come il razzismo e la guerra. Le sit-com hanno la loro parte. Un celebre telefilm degli anni ’70, M*A*S*H*, non contiene risate registrate. Il creatore della serie, Larry Gelbart, voleva inserirle nei titoli iniziali, ma la CBS rigettò l’idea – M*A*S*H* era un telefilm di guerra, incentrato sulle vicende della guerra di Corea. Tuttavia fu raggiunto un compromesso, e ai produttori della serie fu concesso di omettere le risate confezionate durante le scene di apertura, se volevano. Come risultato, alcune scene iniziali contenevano risate registrate, mentre nel resto dell’episodio erano assenti. La sit-com Happy Days (1974-1984) utilizzò per le prime due stagioni solo risate registrate, e a partire dalla terza stagione, un pubblico vero, come fosse una rappresentazione teatrale, rendendo così le risate reali. Sfortunatamente, in Italia la serie è stata doppiata senza risate in sottofondo.

Gli anni ’80 seguono il filone degli anni ’70 per quanto riguarda l’uso delle risate registrate. Negli anni ’90 escono le sit-com di maggior successo come Frasier, spin-off di Cheers, e Friends. In queste sit-com tornano ad essere presenti le risate registrate per tutta la durata dell’episodio. C’è una novità: alcuni cartoni animati, come I Simpson, usano in alcune rare occasioni le risate registrate. Talvolta quando vengono utilizzate è per scherzo, o per una sorta di parodia a una sit-com.

Dal 2000 in poi si assiste ad una nuova rivoluzione: le risate registrate iniziano a diventare una rarità per una sit-com della durata di 20 minuti. E per questa novità, alcune serie che lo utilizzano per prima, sono quelle che hanno vinto più Emmy Awards – gli Oscar della televisione. Basti pensare a Sex and the City o Scrubs. Dimenticate il pubblico in studio. Dimenticate le laugh track. Date il benvenuto alla telecamera singola e alla voce narrante, che parla e fa le sue  riflessioni iniziali e finali in ogni episodio. Per esempio, in Sex and the City è la protagonista Carrie a parlare; in Scrubs il medico protagonista J.D.; in Malcom in the Middle è Malcom stesso. Le sit-come che hanno mantenuto l’originale filone con le risate registrate sono telefilm come Will & Grace, Tutto in famiglia, La vita secondo Jim, e il più recente The Big Bang Theory e …E alla fine arriva mamma!.

Se da una parte c’è assenza di laugh track, dall’altra parte c’è un eccesso. Nelle sit-com per adolescenti in onda su Disney Channel, c’è un uso smisurato di risate registrate, e gli episodi vengono girati di fronte ad un pubblico vero. Tra queste citiamo Raven, Zach e Cody al Grand Hotel e Hanna Montana. Di recente, però, anche queste sit-com si stanno distaccando dai modelli originali, scegliendo l’assenza di risate registrate, come nei Jonas. Ovviamente, con la sempre più frequente scomparsa delle canned laughter, si cerca un modo più semplice per capire le sit-com senza “ridere”, e un genere che cerca sempre di farsi più strada: la black comedy.

Infine, c’è da dire che le canned laughter non aiutano sempre se una sit-com non è divertente. Soprattutto quando delle sit-come come Friends, Will & Grace vengono doppiate dall’inglese all’italiano. Esse tendono a perdere tutto il classico humour originale della serie. A volte siamo condizionati dalle laugh track: esse sembrano indurre gli spettatori a pensare che una determinata scena o battuta sia divertente, perché sentendo ridere il pubblico, ridono anche loro. Ci sono però alcune sit-com divertenti anche senza laugh track – come quelle già citate. Pro o contro le risate registrate? Sono un insulto agli spettatori? Dopo tutto ci informano dove dobbiamo ridere. Per non cadere nel dubbio, ricordiamoci di guardare le sit-com nel loro format originale poiché rendono di più!

giovedì 23 giugno 2011

DA JUNO A AMY JUERGENS: LE BABY MAMME AMERICANE


Ricordate Juno? L’adolescente estroversa ma complicata, interpretata dalla giovane Ellen Paige, che nel film del 2007 fece sorridere l’America col suo pancione. Adolescente che a 16 anni si ritrova ad essere incinta dopo l’esperienza sessuale col suo compagno di scuola, da sempre grande ammiratore della ragazza, Juno affronta la gravidanza in modo disinvolto, decidendo di dare in adozione il bambino. Simili tematiche le ritroviamo in La vita segreta di una teenager americana – chiamata semplimente Secret Life negli USA – ma con tono meno comico e decisamente più realistico. La creatrice dello show è Brenda Hampton, già ideatrice dello show di successo, Settimo Cielo. Non ci meraviglieremo se, seguendo le vicende di Amy Juergens, dei suoi parenti e amici, troveremo delle sottili somiglianze, battute e toni tra i vari personaggi, molto simili allo stile di Settimo Cielo. Lo show ha debuttato negli USA il 1° luglio 2008 sul canale della ABC Family, accogliendo un buon responso da parte del pubblico, soprattutto perché a fine episodio, la serie incinta i giovani ad essere più cauti nei rapporti con l’altro sesso, e aiuta i genitori a capire meglio il mondo degli adolescenti e ad affrontare tematiche importanti e delicate come le gravidanze indesiderate – e numerose. Attualmente va in onda la terza stagione. Passiamo alla trama.
La serie è ambientata in California. Amy Juergens (Shailene Wooddley, già vista in The OC dove interpretava la sorella minore di Marissa Cooper durante la prima stagione) ha 15 anni, è intelligente, talentuosa, ma timida. Tuttavia questo non le impedisce di non essere notata dai ragazzi, poiché è una ragazza abbastanza carina e dolce. Amy suona il corno francese nella banda musicale della scuola. Durante un raduno, Amy passa la notte con Ricky Underwood (Daren Kagasoff), lo spavaldo della scuola. Ben presto, Amy scopre di essere incinta, e i suoi tentativi per nasconderlo risulteranno vani, poiché la verità verrà presto a galla. Le reazioni dei genitori, parenti e amici alla gravidanza di Amy saranno vari; dopo un rifiuto iniziale, Ricky decide di aiutare Amy con la gravidanza. Un altro ragazza, con cui Amy si fidanza, Ben Boykewich (Kenny Baumann), si prende la responsabilità di crescere il bambino con lei, arrivando a chiederle – addirittura! – di sposarla – un fatto del genere ha causato non poche polemiche.
A mano a mano che la serie cresce, il pancione di Amy viene messo in secondo piano, per dar spazio ad ogni adolescente della scuola, che nasconde un inaspettato segreto o problema. A cominciare dalla famiglia di Amy: i genitori hanno dei problemi matrimoniali, causati in parte dall’insicurezza della madre Anne (interpretata dalla regina del teen cinema adolescenziale anni ’80, Molly Ringwald) e dal cinismo del padre George (Mark Derwin). A rendere i toni leggermente più sarcastici, ci pensa la sorella minore di Amy, Ashley (India Eisley), 13 anni e un carattere opposto a quello di Amy. È la prima a sapere della gravidanza della sorella. Poi ci sono gli altri ragazzi della scuola S. Grant, compagni di Amy, tra i quali Adrian Lee (Francia Raisa), la “ragazza facile”, che ha una storia con Ricky; Grace Bowman (Megan Park), cheerleader cristiana che viene tradita dal ragazzo Jack Pappas (Greg Finley) con Adrian, in un momento di debolezza.
Queste sono solo alcune premesse per presentare la serie; più avanti le relazioni interpersonali si complicano. Se nella prima stagione il tema principale è “Amy e la gravidanza”, e alcuni segreti vengono alla luce, la seconda stagione si concentra su “Amy e la maternità”. Amy dà alla luce John – questo il nome del bambino – alla fine della prima stagione. Già all’inizio della seconda stagione emergono i primi problemi di Amy col bambino e la sua relazione con Ben; Amy dice di essere cambiata e maturata dopo la nascita di John, ma in realtà rimane sempre un’adolescente con tutti i problemi tipici dell’età. Per questo ad aiutarla c’è la madre Anne, che nel frattempo ha divorziato dal marito. Il rapporto madre-figlia diventa più stretto. Nel frattempo, però, il rapporto tra Amy e Ben ha una crisi poiché non hanno ancora fatto sesso, ed Amy, che ora ha paura di farlo, non vuole. Mentre con Ben sembra esserci un allontanamento, con Ricky c’è un riavvicinamento. Infatti, Ben inizierà ad essere geloso di Ricky. I rapporti tra i personaggi subiscono di nuovo uno stravolgimento, e a complicare le cose ci si mettono anche i genitori dei ragazzi, tra rapporti matrimoniali e tradimenti. In uno show in cui la tensione è alle stelle e gli attori sono così presi dai proprio personaggi, è impossibile non rimanere coinvolti dalle loro storie.
Per i temi affrontati, in primo luogo la serie avrebbe dovuto chiamarsi The Sexual Life Of the American Teenager, titolo cambiato immediatamente poiché la Walt Disney (proprietaria della ABC Family) non avrebbe approvato di sicuro. Altro fattore, i fan, cercando su google, avrebbero trovato numerosi siti porno. In secondo luogo, la serie è stata classificata come PG-13 (Parental Guide 13, ovvero programma consigliato ai maggiori di 13 anni con genitori accompagnati; per intenderci, il bollino giallo che vediamo nelle tv nostrane).
Dopo Make It or Break It e Pretty Little Liars, la ABC Family è orgogliosa di portare avanti un altro serial di successo, che affronta tematiche così delicate come la gravidanza e la maternità tra adolescenti. Argomenti non facili da trattare, soprattutto in una società come la nostra. Ci aveva già provato il cinema con Juno, e il successo riscosso tra il pubblico americano fu notevole. E anche stavolta, con la teenager americana Amy, siamo pronti a scommettere che il risultato sarà lo stesso. Altro che serial scontati! Con lo sviluppo della società e l’apertura di nuove mentalità, le baby mamme sono molto in voga negli Stati Uniti – un esempio più recente è la sorellina di Britney Spears, Lynn, che a sedici anni è rimasta incinta. Speriamo resti un fenomeno in voga... per il piccolo schermo.

lunedì 20 giugno 2011

PICCOLE BUGIARDE DA RECORD


Nell’articolo precedente vi avevo parlato di Make It or Break It, piccolo gioiello della rete televisiva ABC Family. Ancora una volta, questa rete non smette di stupirci confezionando ottimi teen drama che fanno record di ascolti. È il caso di parlare di Pretty Little Liars, serie televisiva statunitense andata in onda per la prima volta l’8 giugno 2010 e composta, inizialmente, da 10 episodi, poi, dato l’enormità del successo e il record di ascolti già dalla terza puntata messa in onda, il network ha deciso di allungare la stagione a 22 episodi! La serie prende spunto da una saga di romanzi omonimi scritti da Sara Shepard, inediti qui in Italia.
Dopo aver visto l’episodio pilota, Pretty Little Liars potrebbe sembrare una serie “copiona”, perché molti sono i riferimenti ad alcune delle serie più di successo dell’ultimo anno. Basti leggere la descrizione della serie televisiva: Pretty Little Liars segue le vicende di un gruppo di quattro ragazze sedicenni, Aria Montgomery (Lucy Hale), Spencer Hastings (Troian Bellisario), Hanna Marin (Ashley Benson) e Emily Fields (Shay Mitchell), che si ritrovano dopo un anno, all’anniversario della scomparsa del loro leader queen bee – ape regina – Alison DiLaurentis (interpretata dalla giovanissima Sasha Pieterse), bellissima e bionda, ma manipolatrice e vendicativa. Le quattro ragazze sono state separate un anno, e nel frattempo sono cresciute divise. Quando viene ritrovato il corpo di Alison, le quattro si ritrovano al suo funerale. Tuttavia, quando iniziano a ricevere SMS da un’anonima “A”, che dice di conoscere tutti i loro segreti più oscuri e profondi –  segreti che la sola Alison conosceva – le quattro ragazze dovranno fare squadra di nuovo per risolvere il mistero. Ma saranno in grado di essere di nuovo amiche come una volta, o continueranno a nascondere altri segreti?
Già dalla trama appare chiaro il riferimento a Desperate Housewives – scompare un’amica e vengono a galla scheletri nell’armadio – e Gossip Girl – messaggi da una misteriosa “A” che conosce tutti i segreti delle protagoniste. Altri riferimenti a show di successo si possono vedere nelle storyline di due delle protagoniste: un amore impossibile ma irresistibile tra Aria e il signor Fritz, suo giovane professore di letteratura inglese, che ricorda molto la vicenda nella prima stagione di Grey’s Anatomy, in cui i fan del Ferryboats, sospiravano nel vedere le vicende tra la specializzanda Meredith Grey e il suo capo Derek Shepard; poi abbiamo Hanna alle prese con il suo fidanzato Sean, figlio di un pastore, che vuole mantenere la sua verginità fino al matrimonio – il riferimento a La vita segreta di una teenager americana – altro prodotto della ABC Family, come abbiamo più volte detto in precedenza nell’articolo su Make It or Break It    è evidente, solo che la vicenda è capovolta; qui è una LEI figlia di un pastore, in Pretty Little Liars è un LUI. Per quanto riguarda le altre due protagoniste, le storyline sono pressocchè distinte, ma si nota anche qui qualche riferimento a personaggi di serie televisive concluse e di successo: Spencer ha un difficile rapporto col padre, che la paragona sempre alla sorella maggiore perfetta, e tenta in tutti i modi di non apparire come la pecora nera della famiglia – notate la sottile somiglianza tra Spencer e Pacey di Dawson’s Creek? – ; Emily, invece, lotta con la sua sessualità, è fidanzata ma prova una certa attrazione – ricambiata – per la sua vicina di casa, Maya – qualcuno con occhio più attento potrebbe trovare una certa similitudine tra Emily e il personaggio di Willow nella quarta stagione di Buffy l’ammazzavampiri: Willow si trova a dover decidere tra lo “storico” fidanzato Oz, e Tara, “l’amica” strega di cui è innamorata, ricambiata.
Con tutti questi elementi così particolareggiati, il successo è assicurato, e sentiremo ancora parlare a lungo di queste giovani attrici protagoniste, tutte ventenni. A proposito di attrici, ritroviamo sul piccolo schermo Holly Marie Combs, la Piper di Streghe, la quale, dopo un periodo di silenzio – un po’ per via dello scarso lavoro, un po’ per la famiglia – torna in televisione. In Pretty Little Liars interpreta Ella Montgomery, mamma moderna con due figli, e liberale.
Nonostante questo, Pretty Little Liars non è da definirsi una serie da non vedere perché “copiona”, anzi, sembra essere questo il suo punto di forza. Nonostante le critiche che ha ottenuto – accusata di essere un Desperate Housewives adolescenziale – il network e gli stessi autori sono sorpresi dei risultati ottenuti, basti pensare che il primo episodio è stato visto da 2,47 milioni di telespettori, mentre al terzo episodio il rating è salito a 2,74 milioni! Insomma è stata la rivelazione dell’anno. Parlando di “punto di forza”, si dà il merito agli autori che hanno creato la serie a tavolino, mescolando alcuni elementi tra le serie tv più seguite degli ultimi anni, ideando un serial da un successo inaspettato, ma da non sopravvalutare. Infatti, quando si incorre nel “riadattamento”, si va incontro ad una serie già vista, scontata, anche se indubbiamente sentiremo ancora parlare di Pretty Little Liars.
Con tutti questi avvertimenti, non mi resta che consigliarvi questa serie televisiva, consapevoli che andrete incontro in qualcosa che sa di deja vu. La speranza è che do per scontato che questa serie tv duri ancora per molto, dato l’immediato indice di ascolto alle stelle, e che non faccia la fine di alcuni serial che, partiti in quarta come successoni, hanno finito per essere cancellati in anticipo, costretti a chiudere i battenti, alcuni con episodi ancora da mandare in onda; altri, al contrario, cancellati dopo pochissimi episodi. Sarebbe un vero peccato se la serie venisse cancellata senza aver risolto tutti i misteri di queste quattro adolescenti problematiche. Perciò, auguro: lunga vita alle bugiarde!